Breaking News

La bambola del diavolo di Tod Browning

Regista sempre all’avanguardia, Tod Browning ha pagato a caro prezzo la sua ostinazione nell’andare oltre i temi e la narrativa del cinema a lui contemporaneo. In tutte le sue pellicole più importanti (e sono tante) i generi cinematografici si mischiano, i canoni dei generi non vengono rispettati.
Nel suo modo di intendere il cinema niente è come sembra, sotto uno strato se ne nasconde un altro: in uno dei suoi primi lungometraggi, The deciding kiss (1918), si narra di un rapporto morboso tra un uomo adulto e una ragazzina.
Ne I tre (The Unholy three) girato nel 1925, il forzuto Hercules (Victor McLaglen), il ventriloquo Echo (Lon Chaney) e il nano Tweedledee (Harry Earles, nel cast anche di Freaks) sono tre artisti da circo (luogo/tema ricorrente nei suoi film per motivi autobiografici) che con la complicità di una ragazza (Mae Busch) rapinano ricche famiglie ricorrendo al sistema del travestimento.
Ne I vampiri di Praga (Mark of the vampire, film del 1935 remake del suo precedente London After midnight del 1927) il professor Zelen (Lionel Barrymore) inventa una storia di vampirismo, aiutato da due attori (Bela Lugosi e Carroll Borland), per smascherare il barone Otto Von Zinden (Jean Hersholt) responsabile di un omicidio.
Una volta che il trucco è svelato, il ritorno alla realtà si fa tragico: gli assassini pagano le loro malefatte, chi aveva mimato o deriso una menomazione finirà per soffrirne davvero.

Un po’ come accade ne La casa dei fantasmi e in The Tingler di William Castle, tanto per fare un altro nome fondamentale per gli amanti dell’horror. Anche lì gli scheletri sono mossi da fili che la suggestione cancella dalla vista, i fantasmi/mostri sono in realtà persone ignare dell’equivoco o farabutti che indossano una maschera. In Browing come in Castle lo sguardo è uno strumento di alterazione.
Nel suo penultimo film La bambola del diavolo (The devil doll) si parla di Paul Lavond (Lionel Barrymore) un uomo fuggito di galera insieme a Marcel (Henry B. Walthall). Il primo è un banchiere ingiustamente condannato che non vede l’ora di uccidere i tre soci che lo hanno accusato. Marcel è uno scienziato mezzo pazzo ma geniale che ha trovato il modo di miniaturizzare gli esseri viventi e di comandarli con il pensiero. Durante un esperimento però l’anziano scienziato muore. Lavond allora con la complicità di Malita (Rafaela Ottiano), vedova dell’inventore, si trasferisce a Parigi. Lì, per sfuggire alla polizia sulle sua tracce, assume le sembianze di una vecchietta proprietaria di un negozio di giocattoli e rintraccia i tre colpevoli del suo arresto. Contemporaneamente si mette in contatto con la madre (alla quale rivela la sua vera identità) e la figlia (alla quale la nasconde) scoprendo che ella in tutti questi anni ha covato nei suoi confronti un odio smisurato credendo giusta la condanna. Scopre una dolce creatura che, abbandonata dal padre, è costretta a lavorare di notte in un locale equivoco per alzare soldi in più.
Ma il progetto dell’uomo non è tanto quello di uccidere per ottenere vendetta e giustizia, piuttosto vuole dimostrare a sua figlia (Maureen O’Sullivan) la sua innocenza e quanto le ha voluto bene dopo di che togliersi di mezzo. A lei tanto ci penserà il buon tassista Toto (Frank Lawton).
Melodramma che si mischia all’horror al poliziesco e al noir, e siamo nel 1936.
E non manca ne La bambola del diavolo un’ironia multiforme presente , ad esempio, nella recitazione quasi da parodia dei film muti di Rafaela Ottiano e nella pettinatura del suo personaggio, la signora Malita, che non può non ricordare quello de La moglie di Frankenstein uscito giusto l’anno prima.
Proprio grazie al suo spostarsi da un genere a un altro all’interno dello stesso film, il suo approccio con i generi stessi era di superamento dei canoni prestabiliti da Hollywood. Nell’andare oltre questa linea Browning anticipava tendenze di venti se non quaranta anni. Con i generi e le loro grammatiche tentava strade nuove, come fanno tutti i grandi registi.

Ispirandosi al romanzo Burn, witch, burn! di Abraham Merritt, nelle sue intenzioni non doveva esserci nessuno scienziato ma uno stregone vudù a trasmettere le sue conoscenze al protagonista. In questa prima sceneggiatura, la cerimonia di iniziazione si svolgeva davanti ad un altare costruito con teschi umani e comprendeva il sacrificio di una colomba. Una volta diventato stregone il protagonista testava le sue miniature mandandoli ad uccidere degli uccellini in un negozio di animali. Scene come queste non potevano essere approvate da nessuna commissione. Sceso a patti con la casa di produzione, come spessissimo gli è capitato nel corso della sua carriera (in questo caso la MGM), Browning modifica la sceneggiatura affiancato da due scrittori: Garrett Fort e Guy Endore. I cambiamenti non soddisfano la casa di produzione. Samuel Marx (responsabile della MGM per le sceneggiature) chiama altri sceneggiatori (tra i quali Eric Von Stroheim) e rimaneggia di suo senza consultare Browning. Alla fine scomparirà del tutto il vudù, la scena con gli uccellini, nonché il titolo pensato per il film Witch of Timbuctoo.
Il film non ottiene il successo sperato. Due mesi dopo il suo più grande sostenitore Irving Thalberg muore. Per due anni Tod Browning rimane inattivo dopo di che riesce a girare il suo ultimo film Miracles for sale a patto che non partecipi alla sceneggiatura. Nel 1942 si ritira ufficialmente dalle scene dichiarando che il cinema non lo interessa più. Come dargli torto?

Nessun commento