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Séraphine di Martin Provost

Séraphine Louis de Senlis pittrice autodidatta nata povera, vissuta serva, morta in manicomio in solitudine. Troppi imprevisti a spezzare il suo sogno di riscatto offertogli dal collezionista Whilelm Uhde che la scopre quando aveva trentotto anni. La prima guerra mondiale, poi la crisi del 1929 sono due bastoni tra le ruote difficili da evitare. Séraphine che dipingeva perché glie lo dicevano delle voci nella sua testa, per non sentire più il peso della vita, che abbracciava e saliva sugli alberi o faceva il bagno nuda nel fiume perché si sentiva una creatura di dio, parte del mondo, della natura, perché solo così riusciva ad andare avanti. Perché con le persone era diverso. Perché era una serva e i padroni la trattavano da inferiore. Era una poveraccia che doveva togliersi dalla testa certe ambizioni artistiche, non aveva una base culturale per fare l'artista, dicevano certi. Séraphine de Senlis era una pittrice nel poco tempo libero, autodidatta in tutto e per tutto per necessità. Non aveva le basi culturali per dipingere, magari non sapeva chi era Il Doganiere, sentiva però il bisogno di farlo. E si arrangiava come poteva, creandosi da sé i colori, rubandoli pur di dipingere, privandosi di preziose ore di sonno. Nei suoi dipinti, con soggetti quasi sempre alberi o frutti, la realtà prende un altro aspetto. I colori non sono più gli stessi, la natura è vista come qualcosa di estraenante, quasi di spaventoso dove non c'è spazio per l'uomo, una natura che sembra quasi urlare per prendere le difese dell'incompresa Séraphine o forse renderla consapevole dell'isolamento dal mondo, dagli uomini e dalla natura stessa che l'ha fatta così com'è, sola, pazza perché dotata della sensibilità necessaria per comprenderlo.


Come la magior parte delle biopic, Séraphine di Martin Provost, sceneggiato dallo stesso regista insieme a Marc Abdelnour, si concede qualche libertà che potrebbe infastidire i puristi. Per esempio non è vero che una volta rinchiusa in manicomio smise di dipingere. Ma poco importa perché l'essenza maledetta, solitaria, folle e mistica della pittrice è resa molto bene dalla pellicola. Bravissima Yolande Moreau (già vista ne Il favoloso mondo di Amélie) nella sua interpretazione del candore e della sana pazzia dell'artista.

1 commento

Tizyana ha detto...

Interessante il tuo post.