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Frankenstein oltre le frontiere del tempo di Roger Corman

Siamo nella Los Angeles del 2035. Uno scienziato (John Hurt) ha inventato per l'esercito un'arma in grado di far sparire il nemico nel senso letterale del termine, cancellando i suoi atomi. L'arma però non è perfetta: tra gli effetti indesiderati apre un varco temporale che risucchia lo studioso, insieme alla sua sofisticata automobile, nella Svizzera dell'800 abitata dal folle dottor Frankenstein (Raul Julia) e dalla bella e Mary Shelley (Bridget Fonda). Capito (senza stupirsene più di tanto) che la scrittrice si è ispirata ad un personaggio realmente esistito, riuscirà Joe Buchanan a fermare creatore e creatura (Nick Brimble) e a tornare nel suo tempo? È ovvio che sarà complicato e che dall'incontro tra questi due scienziati pazzi distruttori e megalomani che si credono dio non può che nascere un gran casino. Soprattutto quando quello che viene dal futuro inizia ad identificarsi con l'altro perché intuisce la continuità della scienza nel corso del tempo, l'errore in cui si incappa (per volontà divina?), oggi come ieri, quando ci si fa prendere troppo dalle smanie.

Tratto dal romanzo di Brian Wilson Aldiss del 1973, Frankenstein oltre le ftontiere del tempo (Frankenstein unbound) segna il ritorno alla regia di Roger Corman dopo diciannove anni da Il barone rosso. Tanta carne al fuoco, tante buone idee che Corman e il cosceneggiatore F.X. Feeney non riescono però ad ordinare e selezionare al meglio. Per esempio: andava approfondito il legame di solitudine tra i tre protagonisti: la creatura che reclama a gran voce una compagna, il creatore che per temporeggiare viene punito e rimane senza l'amata Elizabeth (Catherine Rabett), e lo scienziato del futuro, fuori tempo, fuori luogo che trova un po' di calore umano solamente nella libertina Mary Shelley.

Nel Frankenstein di Corman sono molti i rimandi a un cinema horror d'altri tempi fatto di lampi, nebbie, luoghi isolati, luci irreali. E non poteva che essere così, visto il personaggio rappresentato e il regista dietro la macchina da presa tra gli innovatori del genere negli anni '60 insieme a Bava, Margheriti, Fisher e pochi altri. Ma Corman non si accontenta di omaggiare il passato e dunque in qualche modo se stesso: cerca anche di andare oltre, ad esempio per quanto riguarda il look della creatura lontano sia dallo stile Universal che Hammer. Le mani, tanto per dire, hanno sei dita con due pollici speculari. I bulbi oculari li potete vedere nella locandina. Non mancano poi gli effetti splatter, assoluta novità nel suo cinema, perché questa creatura è parecchio incazzosa quando strappa braccia e teste, perché siamo all'inizio dei '90.

Girato in Italia (lago di Como, Bergamo e Milano), il Frankenstein di Corman resta dunque un prodotto tutto sommato curioso, dignitoso e da riscoprire girato in quasi economia (9 milioni di $) che riesce bene a mixare horror e fantascienza.

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