Into the wild di Sean Penn
Il coraggio di lasciarsi tutto alle spalle appartiene a pochi. Chris lo ha fatto all’inizio degli anni ’90. Si laurea, dà in beneficenza i suoi risparmi, brucia i suoi documenti e inizia a girovagare senza meta per gli States decidendo poi di recarsi in Alaska. Chris cambia nome in Alex Supertramp (supermigratore), durante il suo vagabondare lavora qua e là come contadino presso un immenso campo di grano gestito da un uomo (Vince Vaughn) nei guai con i federali, e come cuoco in un fast food. Impara a fabbricare cinghie di cuoio, vive di sola caccia e di piante selvatiche. Rimette in discussione se stesso convinto che la società lo abbia plagiato infondendogli concetti sbagliati, nocivi. Concetti come quello del denaro, della proprietà, del lavoro, e quindi degli sprechi, del consumismo e delle convenzioni sociali gli cominciano a stare troppo stretti. Si confronta con una natura selvaggia da un lato bella e dall’altro pericolosa. Salta di posto in posto per non farsi trovare dai genitori (Marcia Gay Harden, William Hurt), dal suo passato.
Personaggio, realmente esistito, un po’ beat e un po’ santo, Chris/Alex (Emile Hirsch) taglia i ponti con quel passato pieno di inutili convenzioni e intraprende un viaggio di formazione fatto di rinunce e piccole e grandi scoperte. Lungo il suo cammino incontra due hippie di una certa età (Brian Dierker, Catherine Keener), un vecchietto solitario che se lo prende a cuore (Hal Holbrook), una ragazzina (Kristen Stewart) dalla quale rifiuta le avances, una coppia di danesi libertini, una violenta guardia notturna delle ferrovie. Tutti personaggi in qualche modo necessari ed illuminanti per il suo percorso formativo, soprattutto la ragazzina vera tentazione nel deserto di fermare il suo viaggio. Chris/Cristo/Alex non cede alle tentazioni, va avanti nella sua ricerca solitaria fino a scoprire che la felicità, la quale secondo le convenzioni borghesi consiste soprattutto nel possesso materiale, non esiste se non è condivisa con qualcuno.
Into the wild, quarto lungometraggio da regista di Sean Penn, malgrado tutte le buone intenzioni che ci possono essere state non possiamo definirlo un capolavoro. Il problema credo che stia tutto nella troppa voglia/urgenza di fare un film giusto, poetico, pulito, sentito e sincero. Perché, come spesso acccade in questi casi, il risultato finale è qualcosa che non è poesia autentica ma solo un’imitazione. Penn cerca in tutti i modi di tenersi alla larga da certe convenzioni registiche, quando improvvisamente ti tradisce come nel caso in cui mostra Chris/Alex che allarga le braccia come Cristo di fronte alla bellezza di un paesaggio, o quando insiste con gli sguardi in macchina. Se non fosse per queste e altre poche piccole sbavature, che risaltano però come macchioline di inchiostro nero su un foglio bianco, Into the wild sarebbe un film perfetto. Resta solo un gran bel film, peccato per quelle chiazze.
Personaggio, realmente esistito, un po’ beat e un po’ santo, Chris/Alex (Emile Hirsch) taglia i ponti con quel passato pieno di inutili convenzioni e intraprende un viaggio di formazione fatto di rinunce e piccole e grandi scoperte. Lungo il suo cammino incontra due hippie di una certa età (Brian Dierker, Catherine Keener), un vecchietto solitario che se lo prende a cuore (Hal Holbrook), una ragazzina (Kristen Stewart) dalla quale rifiuta le avances, una coppia di danesi libertini, una violenta guardia notturna delle ferrovie. Tutti personaggi in qualche modo necessari ed illuminanti per il suo percorso formativo, soprattutto la ragazzina vera tentazione nel deserto di fermare il suo viaggio. Chris/Cristo/Alex non cede alle tentazioni, va avanti nella sua ricerca solitaria fino a scoprire che la felicità, la quale secondo le convenzioni borghesi consiste soprattutto nel possesso materiale, non esiste se non è condivisa con qualcuno.
Into the wild, quarto lungometraggio da regista di Sean Penn, malgrado tutte le buone intenzioni che ci possono essere state non possiamo definirlo un capolavoro. Il problema credo che stia tutto nella troppa voglia/urgenza di fare un film giusto, poetico, pulito, sentito e sincero. Perché, come spesso acccade in questi casi, il risultato finale è qualcosa che non è poesia autentica ma solo un’imitazione. Penn cerca in tutti i modi di tenersi alla larga da certe convenzioni registiche, quando improvvisamente ti tradisce come nel caso in cui mostra Chris/Alex che allarga le braccia come Cristo di fronte alla bellezza di un paesaggio, o quando insiste con gli sguardi in macchina. Se non fosse per queste e altre poche piccole sbavature, che risaltano però come macchioline di inchiostro nero su un foglio bianco, Into the wild sarebbe un film perfetto. Resta solo un gran bel film, peccato per quelle chiazze.
8 commenti
Sarebbe stato meglio farne un documentario, per esempio come l'ottimo "Grizzly man" di Werner Herzog. Ci sarebbe voluto insomma bisogno di frapporre un maggior distacco emotivo fra le vicende di Alex e lo spettatore, con il regista che dicesse chiaramente: "Guardate che questo è un idiota che ha gettato via la sua vita". E invece, cercando di fornire un collegamento emotivo attraverso quei paesaggi da cartolina, quella colonna sonora, i personaggi retorici che il protagonista incontra sul suo cammino, quelle frasi adolescenziali dell'insopportabile sorella, si corre il rischio che qualche spettatore finisca magari anche con l'immedesimarsi o l'identificarsi nel personaggio, o con il trovare sensata la sua scelta di vita. E allora, per coerenza, quello spettatore dovrebbe fare come lui, buttare tutto e andare a morire sui monti, altrimenti sarebbe solo un ipocrita.
Ciao!
e' un film che mi ha fatto riflettere, stare male e che mi ricorda tante persone. Parlando con chi l'ha visto ho constatato che ha suscitato effetti molto diversi, e questo è un fatto che mi piace molto. Bisogna superare i giudizi di valore manichei e andare oltre, sempre.Comunque, una colonna sonora azzeccatissima, una bella regia, buon cast e un bell'adattamento. Tutto avvolto da personaggi ed eventi metaforici. Mi dispiace christian, ma la forza del film è proprio questa: una vicenda reale nella quale vengono trasfigurati gli eventi per farne una sorta di parabola. Ed il bello è che, almeno per me, può essere letta in modi completamente opposti.
Christian oppure quello spettatore potrebbe non avere lo stesso coraggio del protagonista. Nel senso, Chris non voleva andare a morire, è morto solo perchè non è riuscito a tornare indietro a causa della natura selvaggia. Quello che voleva fare era abbandonare la sua vita di convenzioni e di falsità e andare a cercare la verità. Può sembrare retorico, e in effetti in parte lo è, però quanto è poetico? Cioè secondo me il film funziona proprio perchè è poetico, poco importa se Chris è un "imbecille" che va a morire sui monti. Per il resto sono d'accordo, un film è quasi un capolavoro, inficiato da qualche piccola macchiolina ^^
Ale55andra
Devo rivederlo, perchè quando lo vidi al cinema non mi impressionò come speravo.
Christian, Penn tutto voleva fare tranne che dire "Guardate che questo è un idiota". Lo stima Chris. Forse troppo.
Violavic, anche a me ha fatto riflettere e mi rendo conto che è un film multistrato e che quindi andrà rivisto prima o poi. Però non mi ha fatto stare male. Non mi ha coinvolto come avrebbe voluto.
Ale55andra, certo a Chris non gli ha detto bene. Come ha trovato la risposta alle sue domande è schiattato. Non è che Penn voleva fare un film comico? Scemenze a parte, la poesia di vivere da selvaggio è una cosa, ricreare quella poesia in un film - di fiction? come suggerisce Christian - è un'altra. Come dire: a volte una cosa più la vuoi e più te ne allontani. L'esempio è esagerato, per il risultato finale più che buono del film, ma rende l'idea del suo difetto.
cineserialteam, tra un annetto me lo rivedo anch'io.
Come ha trovato la risposta alle sue domande è schiattato.
Da notare che la risposta alle sue domande sta proprio nella negazione della scelta di vita che aveva seguito fino ad allora. Aveva rinnegato la famiglia e poi invece sogna di riabbracciare i genitori. Aveva abbandonato il suo vero nome, e poi invece all'ultimo sceglie di riappropriarsene. Affermava "Ti sbagli se pensi che le gioie della vita vengano soprattutto dai rapporti tra le persone" e invece alla fine scrive "La felicità non è reale se non è condivisa". Insomma, alla fine ammette di aver sbagliato, e proprio per questo vorrei lasciare a Penn il beneficio del dubbio, ovvero credo (o almeno spero) che anche per lui Chris/Alex fosse un idiota, che compie una scelta poetica ed eroica quanto si vuole, ma pur sempre da non imitare (ed è per questo che non mi è piaciuto lo stile estetico e retorico del film). D'altronde lo dimostrerebbe anche una pellicola precedente di Penn, "Lupo solitario", nel quale la scelta di Viggo Mortensen di restare "libero" e di rifiutare i valori della famiglia si rivela altrettanto autodistruttiva (il fratello gli dice chiaramente "Là fuori c'è la famiglia, qui dentro c'è la pazzia"): messaggio che, come tutti gli estremismi, io non condivido del tutto, sia chiaro.
Quando lo vidi mi sembrò un buon film e ne feci una lusinghiera recensione. Naturalmente una sola visione non è sufficiente. Dovrei rivederlo oggi.
Christian, Chris fa la sua scelta fino in fondo, con coerenza. Certo, si rende conto che quello che voleva è quello che aveva abbandonato con disprezzo e lo capisce morendo. Tutto molto poetico, peccato per quegli sprazzi di retorica.
Luciano, mi ricordo della tua recensione. Sono d'accordo: una visione non basta mai.
Posta un commento