La città proibita di Zhang Yimou
La filmografia di Zhang Yimou sembrerebbe sempre più divisa in due filoni. Quello kolossal ambientato nello sfarzo della Cina del passato, tutto azione e arti marziali (ispirandosi a quel genere tradizionale del cinema orientale chiamato Wu-xia-pian), intrighi e sentimenti che scatenano intrecci da telenovela; e quello ambientato nell’epoca moderna in cui si racconta l’attualità del suo paese. Il primo è destinato soprattutto a noi occidentali (anche se in patria sbancano al botteghino) da sempre affascinati dallo splendore del passato millenario della Cina degli imperatori. Il secondo è l’esatto contrario del primo: lento nei suoi ritmi ci mostra la Cina contemporanea. La città proibita appartiene al primo filone e possiede tutti gli elementi di cui si è detto: l’imperatore Ping (Chow Yun-Fat) avvelena lentamente l’imperatrice (Gong Li) perché tradito da lei con il figlio di primo letto. Lei si rassegna alla morte ma prepara lo stesso una contro offensiva che avrà effetti imprevisti a meno che non conosciate la storia della Cina. Le morti si sprecano sia nelle spettacolari scene d’azione orchestrate da Ching Siu-Tung (regista della bellissima trilogia Storia di fantasmi cinesi) che all’interno della famiglia imperiale sempre più sgretolata. Così come non mancano i colpi di scena legati ad altri personaggi più o meno esterni alla vita imperiale, più o meno traditori o ricattatori/ricattati. Dal punto di vista visivo è inutile dire che il film è assolutamente stupendo. Costumi (Yee Man Chung), scenografie (Huo Tingxiao) , fotografia (Zhao Xiaoding), tutto è assolutamente magnifico, perfetto, fastoso, barocco, accecante. In fondo però speriamo che questo sia l’ultimo film di questo tipo per Yimou. Speriamo che la trilogia iniziata con Hero proseguita con La foresta dei pugnali volanti e conclusa con questo film abbia fatto guadagnare al regista il gruzzolo necessario per campare con dignità per il resto dei suoi giorni e che d’ora in poi si dedichi alla Cina contemporanea lasciando queste “americanate” agli americani. Di guerrieri che rimangono sospesi mezz’ora in aria non se ne può più. Con il budget di La città proibita può girare cento capolavori come Non uno di meno (1999) che hanno fatto conoscere il suo talento al mondo molto prima degli action movies così simili ormai, ahime, a quelli di Hollywood.
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