Il diavolo veste Prada di David Frankel
Il mondo della moda e quello della televisione hanno in comune la frenesia e l'ostentata apparenza di cui vivono. La TV vista dal cinema ci ha dato grandi film: è stata vista come un tumore da Cronenberg nel suo Videodrome, è stata splendidamente spiegata e ridicolizzata da Joe Dante ne La seconda guerra civile americana e da Peter Weir in Truman Show. La moda invece è stata portata sullo schermo in boiate come Sotto il vestito niente o mezze delusioni come Prêt-à -porter. È tra i temi presenti nel film dello stesso anno Little Miss Sunshine, quasi un pretesto si direbbe all'inizio, ma vedendo il film fino alla fine si capisce qual'è l'opinione dei registi Dayton-Faris su questo mondo. Tutta la parte del concorso di bellezza è agghiacciante quando mostra le bambine aspiranti al titolo vestite e truccate come se fossero delle mignotte. Poetica, quasi sublime, la risposta a questa volgarità della famiglia Hoover. Il diavolo veste Prada racconta la storia di Andy Sachs (Anne Hathaway), una giovane neolaureata in giornalismo, assunta come seconda segretaria della direttrice della più prestigiosa rivista di moda: il "Runway". Andy è sveglia e intelligente, quello che non va è il suo look senza stile e poco femminile. Glie lo fanno notare senza troppi giri di parole la direttrice stessa Miranda (Meryl Streep) come la prima segretaria Emily (Emily Blunt), "costringendola" dopo un po' a rinnovare il suo guardaroba. Si diceva che quello della moda è un mondo frenetico. Andy infatti deve eseguire mille cose al giorno sempre diverse. Esaudire le richieste più capricciose. Correre sempre da una parte all'altra. Il tutto è chiaramente mostrato da David Frankel (regista televisivo di Sex and the city e Band of Brothers) in modo frizzante e dalla parte della protagonista per cui tutti provano simpatia. Quello che nel film dà più fastidio è il moralismo (e da due soldi) nella parte finale. In realtà tutta la vicenda è narrata senza sferrare mai dei veri attacchi, delle vere accuse al mondo che si racconta. Come dire niente di nuovo sul fronte occidentale. Niente graffi, niente critica, niente satira. Solo uno spettacolino sbrilluccicante (perdonate il neologismo) che non manda messaggi perché non lo vuol fare. Perché nella scena delle sfilate a Parigi compaiono stilisti veri nel ruolo di loro stessi come Valentino. Perché questo film è in fin dei conti un grosso spot sul mondo della moda. Come se la moda ne avesse bisogno. Un vero peccato perché gli attori sono tutti azzeccati: Meryl Streep è perfetta nel ruolo della tremenda Miranda che tutti temono e rispettano ma noi l'abbiamo preferita nel film di Robert Altman Radio America, Stanley Tucci è un altro che dove lo metti sta bene, Anne Hathaway ha il viso giusto, Emily Blunt è brava nel ruolo dell'aspirante arrampicatrice aziendale. Con un simile cast si doveva far tremare questo mondo, non esaltarlo.
2 commenti
Sospendendo il giudizio sul film (per una serie di contrattempi non l'ho ancora visto), mi (e ti) chiedo se questa "bulimia recensiva" non comporti il rischio di "soffocare in culla" alcune recensioni.
Capisco la necessità di rimetterti in pari con il vecchio blog (presumo che gran parte delle recensioni arrivino da li), ma il postarle a così breve distanza l'una dall'altra non rischia di penalizzarle?
Io ad esempio ho rinunciato a leggere quella relativa Loach perché più incuriosito da questa e da quelle successive, però è un peccato... Imho.
non sono pienamente d'accorso. secondo me "il diavolo veste prada" di graffi ne dà ...anche se sottili, ma taglienti. concordo, invece, sulla caduta di stile nel finale perbenista. per il resto la pellicola mi è piaciuta e mi ha convinto.
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