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Maciste all'inferno di Riccardo Freda

Nel 1650, in un paesino scozzese, per salvare una poveretta (Vira Silenti) condannata al rogo per essere discendente (e porta pure lo stesso nome! Marta Gunt) di una strega bruciata cento anni prima (Hélène Chanel) arriva niente di meno che Maciste (Kirk Morris). Mentre la giovane resta imprigionata in attesa del giudizio, l'eroe si cala attraverso una voragine che dà direttamente all'inferno. Lì sotto dopo numerose prove da superare, di forza e di astuzia, e incontri particolari, incontrerà la strega rancorosa insieme al giudice (Andrea Bosic) che la condannò per aver respinto i suoi corteggiamenti.


Diciamolo pure, Riccardo Freda ha diretto film migliori di questo Maciste all'inferno. Eppure qualcosa da salvare c'è come la sequenza in camera da letto dei due sposi appena giunti nel castello maledetto che hanno ereditato. La voce di Charley (Angelo Zanolli) udita distante da Marta pur essendo i due a pochi centimetri l'uno dall'altra. Subito dopo la risata diabolica della vecchia strega che solo la giovane sente, poi le candele si spengono e il camino si accende da solo. Tutto questo mentre la folla inferocita del villaggio, con le classiche forche, fa irruzione nel castello. Un pezzo niente male. È qui che arriva Maciste. Arriva così perché deve arrivare, sempre in extremis, perché solo lui può risolvere questo problema. Spunta dal nulla, aggiusta le cose in zona Cesarini e nel finale sparisce di nuovo nonostante l'invito del villaggio rinsavito a restare lì, perché lui deve girare il mondo per proteggere i deboli.


Due momenti che racchiudono il meglio e il peggio del film: l'accuratezza e l'approssimazione. Da una parte l'azzeccata location naturale delle grotte di Castellana per le scene infernali, dall'altra una non riuscita miscela tra mitologia a cristianità. Cosa voglio dire con questo? Non so. Provo però ad immaginare al posto di Maciste che ne so, Gesù Cristo. Vuoi mettere l'impatto! Nel senso, penso io, che c'azzecca Maciste con l'inferno? Forse c'è un nesso ma io non è che l'abbia capito. Sì che le religioni, i miti, le favole, hanno tutti un comune denominatore che potremmo chiamare narrazione. Nel senso che tutte raccontano in fondo la stessa storia, e questo accade da quando l'uomo ha iniziato a ragionare. Però non mi sembra che questo discorso ci sia nel film, o meglio, c'è ma solo in superficie. Forse mi sbaglio. Troppi dubbi miei. Non mi ha proprio convinto.

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