Profondo Rosso di Dario Argento
C'è un senso di opprimenza in Profondo rosso che non lascia scampo.
La sensitiva Helga (Macha Méril) durante una dimostrazione delle sue capacità medianiche avverte la presenza di una personalità disturbata. Muore la notte stessa a casa sua davanti ad una finestra sotto gli occhi di due pianisti, Marc (David Hemmings) e Carlo (Gabriele Lavia). Marc, che abita al piano di sopra di Helga, corre in suo soccorso mentre Carlo torna in un locale a suonare. Da quel momento la vita di Marc cambia, si entra in un'altra dimensione che pianifica gli eventi in modo da farceli spesso anticipare. Dopo Helga infatti muoiono altre persone legate alla donna, chi per aver scritto un libro (Giuliana Calandra) che parla di una casa che è stato luogo di un omicidio e da cui, ora che è disabitata, si sente uscire una nenia infantile citata da Helga durante la sua dimostrazione all'inizio del film e ascoltata da Marc durante una minaccia che l'assassino gli rivolge, chi perché amico-amante-confidente della sensitiva. Tutto per coprire una cosa accaduta molto tempo prima. In tutto questo Marc continua imperterrito la sua indagine e capisce che la soluzione è legata al passato. Nel frattempo intreccia una relazione con una giornalista, Gianna Brezzi (Daria Nicolodi), e si sforza di ricordare un particolare della sera del delitto che non ha messo bene a fuoco, che non gli quadra. Ed è dalle sue indagini (quelle della polizia comandata da Eros Pagni non vanno avanti) che arrivano i colpi di scena perché le uccisioni -ripeto- sono tutte annunciate. La fusione tra questi due aspetti, quello delle uccisioni e quello dell'indagine, quello del prevedibile e quello dell'imprevisto, genera l'impossibilità di distogliere lo sguardo, ci cattura spiazzandoci e scioccandoci. La morte di Giordani (Glauco Mauri) è passata alla storia per via del pupazzo che attraversa la stanza. È risaputo che tutti la sconsigliarono al regista, ma lascia perdere, ma è una stronzata, ma che c'azzecca, tutti a dirgli così, persino suo padre. Lui ha fatto di testa sua, e ha fatto bene. Giordani, consapevole come noi che l'assassino è lì, distrugge il pupazzo che improvvisamente sbucato dal nulla e gli è venuto contro, ma resta imbambolato a guardarselo e l'assassino ne approfitta. Come ricorda lo sceneggiatore del film Bernardino Zapponi, nel film non ci sono armi da fuoco, non è con queste che si muore nel film. Ci sono lame, ossa e denti fracassati, ustioni da acqua bollente, così si finisce ammazzati in Profondo rosso. Zapponi e Argento volevano amplificare situazioni più comuni. Chiunque di noi si è tagliato, ha sbattuto contro uno spigolo o si è scottato con l'acqua calda, sono in pochissimi invece ad aver vissuto l'esperienza di un colpo d'arma da fuoco sparato addosso. Nelle uccisioni insomma è essenziale ribattere sulle consapevolezze, morti annunciate in cui il dolore provato dalla vittima in una piccola dose lo abbiamo provato anche noi spettatori.
Quel pupazzo però è il superamento di una soglia, la fusione del prevedibile con l'imprevisto, l'impensabile che diventa realtà, l'imprevisto nel previsto, lo stravolgimento delle consapevolezze, e il personale ingresso di Dario Argento nel folle mondo dell'irrazionale.
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