Paura nella città dei morti viventi di Lucio Fulci
Quello che avevamo detto a proposito di Zombi 2 vale ancora di più per Paura nella città dei morti viventi. La paura che il film sprigiona, dal sapore lovcraftiano, non ha basi razionali: nasce dal inconscio e si propaga a macchia d'olio senza attenersi a nessuna regola, come il caos. La logica è la prima vittima di questa paura irrazionale. Come in un brutto sogno dal quale è impossibile svegliarci, in Paura (questo e solo questo doveva essere il titolo del film. Furono i produttori ad inserire nello stesso e nella trama i morti viventi) siamo obbligati, da Fulci e da Dardano Sacchetti, sceneggiatore dell'intera trilogia, a seguire un percorso in cui a scatenare le violenze è qualcosa di indefinito, metafisico e ancestrale. E senza regole logiche l'orrore ha campo libero. Cosa scatena le apparizioni dei morti viventi, apparizioni nel vero senso della parola, come nei cinema a trucchi di Méliès, forse il prete che si è impiccato e che a un certo punto ritorna anche lui da zombie? Forse, ma non ha per noi la minima importanza. Non ci preoccupiamo di questo, stiamo sul chi va là ogni istante nell'attesa della prossima esplosione d'orrore, questa è la nostra maggiore preoccupazione: chiederci per quanto tempo durerà ancora l'angoscia di questa attesa. Ecco allora, a Dunwich, i segni premonitori nel rumore sinistro della porta dello psichiatra, o nelle crepe sul muro del bar. L'orrore vero è proprio però non tarda mai a manifestarsi, come nella mistica lacrimazione sanguigna di Rosie (Daniela Doria) davanti a un attonito Tommy (Michele Soavi), lacrimazione voluta, sembrerebbe, da padre Thomas (Fabrizio Jovine) tornato dall'oltretomba. O nella pioggia, altrettanto biblica, di vermi sui malcapitati protagonisti. Nel paese semideserto (molto Silent Hill...) poi la popolazione ha gli occhi bendati: accusa delle morti un ragazzo (Giovanni Lombardo Radice) un po' tocco che fa una brutta fine ucciso (in una scena che ricorda per situazione e costruzione quella di Zombi 2 con Olga Karlatos) dal genitore impazzito (Venantino Venantini) di una giovane ragazza, perché si sa come funziona: la violenza genera violenza, l'orrore genera orrore. Qui più che in altri luoghi non dobbiamo dare niente per scontato, l'imprevisto è sempre dietro l'angolo pronto a far morire anche quello che credevamo essere l'eroe destinato a salvarsi e a salvare. Nonostante tutti gli ostacoli incredibili, per sconfiggere il male i nostri tragici protagonisti dovranno trovare il coraggio di affrontare il nuovo mondo fino a varcare la madre delle soglie calandosi in un antro oscuro situato all'interno (nel cuore) dell'orrore stesso.
In Paura nella città dei morti viventi l'orrore è un vero incubo ad occhi aperti in cui le situazioni si susseguono come in una sorta di trance. Roba da toglierti il sonno.
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