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Robowar di Bruno Mattei

Quattro anni dopo Rats: notte di terrore Bruno Mattei realizza (sempre come Vincent Dawn) Robowar, pellicola palesemente ispirata a due uscite dell'anno precedente: Predator, per quanto riguarda l'ambientazione nella giungla, RoboCop per la natura del nemico da sconfiggere a metà strada tra un umano e un androide. Ed è proprio sull'entità del robot da guerra che il film ha la sua intuizione più originale. Il nemico che il Maggiore Murphy Black (Reb Brown) deve sconfiggere è infatti, non solo metaforicamente parlando, il fantasma del suo passato, dei vecchi ricordi d'orrore legati ad una vecchia guerra, alla ferite interne che ha causato e che non si sono mai reimarginate nella sua testa. Il Maggiore Murphy è un duro dal cuore tenero che non ha mai dimenticato il suo compagno commilitone Martyn creduto da lui morto e trasformato dai suoi superiori nel progetto Omega 1 cioè nel robot sfuggito al controllo che deve sconfiggere. Morale quella di sempre, politicamente corretta e pacifista: la guerra è uno schifo, un serpente che, tra le altre cose, finisce con il mordersi la coda.

A sceneggiare Rossella Drudi moglie di Claudio Fragasso, qui autore del soggetto e attore (interpreta uno dei soldati). Mattei prova a realizzarla meglio che può là dove in budget messo a disposizione dalla Flora Film lo consente. Finché si tratta delle normali scene d'azione va tutto fin troppo bene, Mattei dimostra di saperci fare. Il problema nasce quando tocca inquadrare il robot, l'antagonista (roba mica di poco conto insomma), ideato e realizzato da Francesco e Gaetano Paolocci, dall'aspetto più simile a un motociclista che a una armatura da guerra futuristica, disign che infatti non soddisfò il regista.

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