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I figli della violenza (Los Olvidados) di Luis Buñuel

Il progresso non abbraccia mai tutti come dovrebbe e come conseguenza si verifica un ritorno da qualche parte alla brutalità, al primitivismo. Accade nelle periferie, escluse dal progresso. A farne le spese esseri che spesso non meritano la fine che fanno, come ne I figli della violenza (Los Olvidados) dove protagonisti sono tre giovani.
El Jaibo (Roberto Cobo) è appena scappato dal riformatorio e ritorna nel suo quartiere a Città del Messico. Tra i tanti ragazzini che istruisce alla malavita ci sono anche Ojitos (Mario Ramirez), appena abbandonato dal padre e Pedro (Alfonso Mejia), che vive con la madre vedova e per niente affettuosa (Estela Inda).


Secondo Luis Buñuel (al suo terzo film messicano, premio per la regia a Cannes nel 1951) in tempi moderni, essendoci in vigore la legge del primitivismo*, non c'è spazio per l'amore: è fuori moda, non trova corrispondenze. I tempi moderni hanno messo da parte questo sentimento e dimenticato coloro che ancora ci credono. In tempi come il nostro il bene soccombe al male, la ragione viene battuta insieme all'ottimismo e alla speranza.
* pensate all'utilizzo nella pellicola di armi rudimentali come una pietra o un bastone.
Sceneggiatura - Luis Bunuel, Luis Alcoriza
Fotografia - Gabriel Figueroa
Scenografie - Edward Fitzgerarld, William Claridge
Makeup - Armando Meyer
Montaggio - Carlos Savage
Musiche - Rodolfo Halffter, Gustavo Pittaluga
Come in Accattone (che tratta un argomento per certi versi analogo, vedi l'ambiente) arriva, verso la fine, un sogno a turbare il protagonista.
L'agguato al vecchio cieco (Miguel Inclan) dà l'idea di aver ispirato quella al barbone in Arancia Meccanica.

1 commento

Christian ha detto...

Che grande film, uno dei migliori del periodo messicano di Don Luis!

Ciao