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Dr. Plonk di Rolf de Heer

Nel 1907 lo scienziato Plonk (Nigel Lunghi) calcola che alla Terra restano 101 anni di vita. Come fare per convincere il Primo ministro? Costruisce una macchina del tempo con l’intenzione di portare al politico una prova della sua teoria. Insieme al suo assistente sordomuto Paulus (Paul Blackwell) inizierà la ricerca incontrando, ovviamente, parecchie difficoltà.

Cosa accade se quel geniaccio di Rolf de Heer ritrova, dopo aver dimenticato di avere, centinaia di metri di pellicola vecchissima? Succede che il folle ne tira fuori Dr. Plonk, un divertente film muto e in bianco e nero (omaggio soprattutto al cinema slapstick) che non rinuncia a una critica sui nostri giorni. Come accade quando dà il meglio di sé, de Heer mischia generi, sentimenti e argomenti in un cocktail spiazzante eppure credibile e omogeneo.
Plonk è il classico scienziato (abile anche con i giochi di prestigio e come ipnotizzatore, il che fa pensare ad un suo passato come artista da fiera, e qui il paragone con Caligari è immediato) che ha una grossa intuizione e finisce con il farsi sfuggire di mano la situazione. Ma si sa: il singolo individuo per quanto forte e carismatico non può cambiare da solo le sorti di un pianeta, forse perché occorre una partecipazione attenta ed attiva a differenza di quella che gli offrono la sua corpulenta moglie (Magda Szubanski) e il suo assistente impiastro sempre distratto dal cane dello scienziato e dalle donne, per questo costantemente preso a calci in culo. Questa partecipazione, necessaria per cambiare le cose, Plonk la ritrova nel futuro nella prova che tanto cercava sulla fine del mondo, una partecipazione che da attiva è diventa, poveri noi, passiva e di massa.

A co-produrre il film dell’olandese trapiantato in Australia è stato, ancora una volta, l’italiano Domenico Procacci, un altro che in quanto a follia non sta messo male. Dr. Plonk è una pellicola multistrato capace di divertire osando da vedere assolutamente.

Sceneggiatura – Rolf de Heer
Fotografia – Judd Overton
Scenografie e costumi– Beverly Freeman
Montaggio – Tania Nehme
Musiche – Graham Tardif

6 commenti

Ale55andra ha detto...

Questo me lo persi anche perchè da me non è mai arrivato. Però sono sempre stata incuriosita, in qualche modo lo recupererò.

Narda ha detto...

Visto ben tre volte, una anche in sala durante la retrospettiva australiana di un festival a cui ho partecipato.
Rolf de heer riprende strumenti e tecniche del cinema dei pionieri tanto che, alla vigilia della visione, il timore è quello dell'anacronismo e del tedio (quello che condivide con Guy Maddin). Nulla di più errato dal momento che la narrazione coinvolge sin da subito in una girandola inarrestabile di gag e trovate rutilanti fino all'inspettato finale.
Al di là della tecnica non mi pare che De Heer si sia allontanato troppo dalle tematiche affrontate fino ad oggi. Anche questo è un ritorno alle origini, allo stato naturale "del cinema".

Narda

Luciano ha detto...

Non sono riuscito a vederlo ma la tua recensione mi ha molto incuriosito.

fano ha detto...

ciao bellissimo blog!!mi sono aggiunto ai lettori se hai tempo dai un occhiata al mio blog ciao!!

Alla Scoperta ha detto...

Abbiamo una proposta interessante per te

Roberto Junior Fusco ha detto...

Ale55andra, recuperalo e non te pentirai
Narda, de Heer non annoia con questo film proprio per niente. Gag a non finire...quanti calci in culo si prende l'assistente? (tanto per dirne una?)
Luciano, vedilo e fammi sapere.
Stefano, ti dò un'acchiata appena posso. Grazie.
Alla scoperta, se è davvero interessante la accetto.

Anche se mostruosamente in ritardo GRAZIE A TUTTI!!