Grazie zia di Salvatore Samperi
Figlio dei suoi tempi, il ’68, Alvise (Lou Castel) è un ragazzo ribelle ma a modo suo, infatti protesta fingendo di non essere in grado di camminare. Lo fa perché non vuole assumersi delle responsabilità nella società in cui vive, simula per urtare gli odiati familiari: il padre industriale, Stefano (Gabriele Ferzetti) lo zio giornalista comunista verso il quale sfoga l'odio bruciando dei soldatini rappresentanti i vietcong. L’unica persona della famiglia che sopporta è la bella zia medico Lea (Lisa Gastoni) ed è proprio da lei che suo padre lo spedirà per un periodo, nella speranza che le sue gambe riprendano a funzionare.
Insofferente verso tutto e tutti, Alvise e la zia iniziano un rapporto un po’ particolare in qualche modo tendente alla sofferenza, al sadomasochismo. Stefano, che intuisce la sua recita di finto infermo, si vedrà gradualmente allontanato dalla compagna la quale passerà sempre più tempo con il nipote facendo così chiacchierare anche le due anziane domestiche.
Alvise è tutto una provocazione. Nei confronti della zia prova attrazione e repulsione, forse perché sa cose su di lei che noi non sappiamo ma intuiamo, coma la sua pazzia. Nella coppia che formano l’elemento forte è Alvise e non sua zia che invece si lascia manovrare dal nipote come una marionetta. Il loro è un rapporto violento sia sul piano fisico che psicologico. Alvise poi ha degli atteggiamenti infantili che scioccano o innervosiscono i presenti. Ogni loro discorso da intellettuali illuminati gli scatena una reazione eccessiva anche perché vede cosa si nasconde dietro le loro belle, giuste e sagge considerazioni: una ipocrisia che non gli appartiene. Anche la disinibita danza della giovane cantante Nicoletta (Luisa De Santis) gli provoca una reazione allergica. Eppure anche lui, anzi soprattutto lui, è un falso. Anche lui ha una facciata che non corrisponde alla realtà, anche lui appartiene e assomiglia a questo mondo che tanto odia. Dinnanzi a questa contraddizione inestricabile, a questo mal di vivere che lo tiene prigioniero, Alvise può fare solamente una cosa, e l’unica persona che gli può dare una mano a realizzarla è l’amata e sfruttata zia.
Girato con uno stile conturbante ma soprattutto disturbante da Salvatore Samperi a ventiquattro anni, Grazie Zia si inserisce nel quadro politico in cui nasce in maniera del tutto originale raccontando una ribellione che arriva alla misantropia e a una visione agra della vita che non lascia posto alla speranza.
Produzione – Doria G. Film (Enzo Doria)
Direttore di produzione – Ugo Novello
Ispettore di produzione – Paolo Zaccaria
Sceneggiatura – Salvatore Samperi, Sergio Bazzini, Pier Luigi Murgia
Fotografia – Aldo Scavarda
Operatore – Gaetano Valle
Aiuto regista – Sergio Bazzini
Fonico sul set – Vittorio De Sisti
Fonico post produzione – Danilo Moroni
Doppiaggio (direzione) – Franco Bucceri
Scenografie e costumi – Giorgio Mecchia
Arredamento – Gisella Longo
Montaggio – Silvano Agosti (come Alessandro Giselli)
Musiche – Ennio Morricone (condotte da Bruno Nicolai)
La canzone “Filastrocca vietnamita” è cantata da Sergio Endrigo
Insofferente verso tutto e tutti, Alvise e la zia iniziano un rapporto un po’ particolare in qualche modo tendente alla sofferenza, al sadomasochismo. Stefano, che intuisce la sua recita di finto infermo, si vedrà gradualmente allontanato dalla compagna la quale passerà sempre più tempo con il nipote facendo così chiacchierare anche le due anziane domestiche.
Alvise è tutto una provocazione. Nei confronti della zia prova attrazione e repulsione, forse perché sa cose su di lei che noi non sappiamo ma intuiamo, coma la sua pazzia. Nella coppia che formano l’elemento forte è Alvise e non sua zia che invece si lascia manovrare dal nipote come una marionetta. Il loro è un rapporto violento sia sul piano fisico che psicologico. Alvise poi ha degli atteggiamenti infantili che scioccano o innervosiscono i presenti. Ogni loro discorso da intellettuali illuminati gli scatena una reazione eccessiva anche perché vede cosa si nasconde dietro le loro belle, giuste e sagge considerazioni: una ipocrisia che non gli appartiene. Anche la disinibita danza della giovane cantante Nicoletta (Luisa De Santis) gli provoca una reazione allergica. Eppure anche lui, anzi soprattutto lui, è un falso. Anche lui ha una facciata che non corrisponde alla realtà, anche lui appartiene e assomiglia a questo mondo che tanto odia. Dinnanzi a questa contraddizione inestricabile, a questo mal di vivere che lo tiene prigioniero, Alvise può fare solamente una cosa, e l’unica persona che gli può dare una mano a realizzarla è l’amata e sfruttata zia.
Girato con uno stile conturbante ma soprattutto disturbante da Salvatore Samperi a ventiquattro anni, Grazie Zia si inserisce nel quadro politico in cui nasce in maniera del tutto originale raccontando una ribellione che arriva alla misantropia e a una visione agra della vita che non lascia posto alla speranza.
Produzione – Doria G. Film (Enzo Doria)
Direttore di produzione – Ugo Novello
Ispettore di produzione – Paolo Zaccaria
Sceneggiatura – Salvatore Samperi, Sergio Bazzini, Pier Luigi Murgia
Fotografia – Aldo Scavarda
Operatore – Gaetano Valle
Aiuto regista – Sergio Bazzini
Fonico sul set – Vittorio De Sisti
Fonico post produzione – Danilo Moroni
Doppiaggio (direzione) – Franco Bucceri
Scenografie e costumi – Giorgio Mecchia
Arredamento – Gisella Longo
Montaggio – Silvano Agosti (come Alessandro Giselli)
Musiche – Ennio Morricone (condotte da Bruno Nicolai)
La canzone “Filastrocca vietnamita” è cantata da Sergio Endrigo
1 commento
Ah già... Malizia! Un cult per gli appassionati del cinema erotico. Un film gradevole che ricordo ancora abbastanza chiaramente. Grazie zia invece l'ho visto troppo tempo fa in condizioni disastrose e quasi quasi lo inserisco tra i film da vedere e/o rivedere.
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