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Dialoghi/ McCarthy e i fratelli Coen

New York

Un incontro immaginario tra va­ri esponenti dell'entertainment americano – il più interessante e improbabile dei giochi di so­cietà - potrebbe forse riuscire peggio di questa conversazio­ne, tenuta ai primi di questo mese in un simpatico albergo in pieno centro di Manhattan. C'erano due registi, i fratelli Ethan e Joel Coen, noti per i loro film sfiziosi, eleganti e lieve­mente sciocchi, come Fargo o Fratello, dove sei?; e c'era-il ro­manziere Cormac McCarthy, insignito del National Book ­Award per Cavalli Selvaggi e del Premio Pulitzer per La strada. Se fosse stato un reality show, avremmo potuto chiamarlo "Isola dei geni eccentrici".
McCarthy ha collaborato con i fratelli Coen alla versione ci­nematografica di un thriller tratto dal suo Non è un paese per vecchi (Einaudi): un'impresa di ­narcotrafficanti stroncata. E un film a tinte forti (che esce oggi in Italia, n.d.r.), ma è anche un elo­gio del grande West americano. McCarthy è celebre per due tratti del suo carattere: la curio­sità onnivora e l'estrema riser­vatezza. A 74 anni ha rilasciato in tutta la vita tre sole interviste. Ma conversa liberamente con i fratelli Coen, che dal canto loro tendono entrambi a conclude­re la frase iniziata dall'altro. L'incontro ha avuto luogo in un albergo di Manhattan, con vista sensazionale sul Central Park. Ma nessuno ha gettato un solo sguardo dalla finestra.
CORMAC McCARTHY Vi è mai venuta la voglia di fare un film troppo scandaloso per poter essere realizzato?
JOEL COEN Scandaloso? Non saprei. C'è stato però un film che abbiamo tentato inutilmente di fare: anche in quel caso, si trattava dell'adatta­mento di un libro, Oceano bian­co di James Dickey. È la vicenda del mitragliere di coda di un B­29 che bombarda Tokyo.
McCARTHY Il suo ultimo li­bro.
J. COEN Sì, l'ultimo. Dunque quest'uomo si trova a Tokyo durante un bombardamento al napalm - ma la vicenda in realtà è un'altra. Il protagoni­sta, cresciuto in Alaska, intraprende una marcia da Honshu a Hokkaido, alla ricerca di un clima freddo in cui spera di po­ter sopravvivere. Ma dato che ­non sa una parola di giappone­se, dopo i primi minuti del film non c'è più ombra di dialogo.
McCARTHY Be', un'impresa difficile.
J. COEN Interessante però. Abbiamo tentato, ma nessuno era disposte a finanziare un film come questo, ad alto costo, con bombardamento su Tokyo e senza dialogo.
ETHAN COEN È una storia di sopravvivenza; e alla fine il protagonista muore.
McCARTHY Muoiono tutti. Un po' come nell'Amleto.
E. COEN Brad Pitt lo voleva fare e ha tuttora una specie di rimpianto, quasi .di rimorso, per non esserci riuscito, Ma ora mai è troppo avanti con gli an­ni.
J. COEN C'è però qualcosa, come un' eco di questa vicenda in Non è un paese per vecchi. Quello che ci interessava era l'i­dea dell' attività fisica, i gesti dei personaggi, che contribuisco­no a rivelare la loro natura, e fanno parte del tessuto stesso della vicenda. Perché in questo film si vede un individuo men­tre fa tutta una serie di cose, di gesti per sopravvivere, per riu­scire a compiere quel percorso - e per noi era stimolante il fatto di doverci affidare solo a que­sto, come in una sorta di con­trapposizione al dialogo mancante.
McCARTHY David Mamet ha raccolto alcuni saggi sotto il ti­tolo Scrivere nei caffè- o qualcosa di simile. Secondo lui, per un autore teatrale l'ideale è scrivere radiodrammi - per­ché in quel caso puoi usare solo le parole che qualcuno va di­cendo. Non hai nient'altro a cui appoggiarti, nessun appiglio al di fuori del dialogo. Il teatro è difficile, e ho il sospetto che spesso gli autori teatrali non ab­biano un'idea esatta di come andranno le cose in scena. Del resto, come si fa a saperlo? Qualche anno fa sono andato con mia moglie a vedere l'Amleto con Ralph Fiennes. Oltre ad averlo letto, lo avevo visto in più di un film. Eppure, quando sia­mo usciti dal teatro ci siamo guardati dicendo: («Accidenti!» Come faceva Will a sapere che sarebbe andata così? (risata ge­nerale). Perciò vorrei farvi que­sta domanda: in quale momen­to vi rendete conto che il film sta andando bene, o che invece non va per il verso giusto?
J. COEN Potrei quasi regolare l'orologio su come mi sento nelle diverse fasi. Che il film al­la fine riesca o meno, il decorso è sempre identico. Quando si ri­vedono le scene girate giorno per giorno si tende a caricarsi, a sentirsi molto ottimisti sul ri­sultato finale. Poi, quando si rivede il tutto per la prima volta nella fase iniziale del montag­gio, si ha voglia di tornare a ca­sa, tagliarsi le vene dei polsi nel­la vasca piena d'acqua calda e togliere il disturbo. Dopo di che, passo dopo passo, si fa una sorta di cammino a ritroso, per ritrovarsi alla fine più o meno al punto in cui si stava prima.
McCARTHY Non riesco a ca­pire come fai a vederla così. A me sembra che quando uno ha rivisto quei dannati fotogram­mi per la quarantacinquesima volta, alla fine non significano più nulla. Ovviamente non è ve­ro, però...
E. COEN Be', il fatto è che a quel punto ti applichi a risolvere i problemi uno per uno. Ci la­vori sopra. È gravoso solo una volta che il film è fatto.
McCARTHY Dimmi qualcosa di quell'orrendo cane. Mi chie­do se Josh (Brolin, nel ruolo di Moss) fosse terrorizzato da quell'animale. Spingevi un bot­tone, e subito ti si avvéntava
sulla giugulare? .
J. COEN Era un cane da pau­ra. Non un cane da film.
McCARTHY Addestrato fon­damentalmente per uccidere.
E.COEN Il trainer si serviva di un oggetto color arancio al neon: appena glie lo mostrava il cane incominciava a sbavare e si agitava. Avrebbe fatto qua­lunque cosa per impadronirse­ne. Era quello il modo per condizonarlo. Prima di ogni ripre­sa Josh gli mostrava l'oggetto e poi se lo infilava nello slip e si tuffava nel fiume.
J. COEN Senza avere la mini­ma idea della velocità del cane che lo inseguiva a nuoto...
E. COEN Dopo di che Josh emergeva grondante, tirava fuori da sotto lo slip l'oggetto arancione e diceva parlando a sé stesso «Ma che stai facendo?» «Niente, sono un attore!» (risata generale).
McCARTHYC Ci sono moltissi­mi bei film americani, sapete. Io non sono Un patito del cine­ma straniero, né di quello esoti­co. Penso ad esempio che Cin­que pezzi facili sia un gran bel film.
J. COEN Sì, è fantastico.
McCARTHY Anche I giorni del cielo è un film stupendo.
J. COEN Sì, Terry Malick è straordinario.
McCARTHY È strano: per molto tempo non sono riuscito ad avere sue notizie. Una volta, a New Orleans ho incontrato Richard Gere e gli ho detto: «Sai qualcosa di Terry Malick?» E lui mi ha risposto: «Melo chiedono tutti. Non ne ho idea». Poi però l'ho incontrato, Terry. Aveva deciso di non fare più quella vi­ta - o almeno, è questo che mi ha detto. Non che volesse la­sciare il cinema - ma avrebbe voluto poter fare i suoi film sen­za essere costretto a vivere a Hollywood.
J. COEN E uno dei grandi registi americani.
McCARTHY Anche Crocevia ­della morte fa parte di questa categoria. Non vorrei mettervi in imbarazzo - ma è veramen­te un ottimo film.
J. COEN È un dannatissimo bidone.
McCARTHY Non dico di no. Capisco che è un bidone. Ho so­lo detto che è ottimo!
E. COEN Nel tuo lavoro di scrittore sei mai stato alle prese con un soggetto troppo scanda­loso? Non sembri il tipo che ri­nuncia a un'idea per un motivo del genere.
McCARTHY Non saprei: quando si scrive un romanzo si è soggetti a una serie di costri­zioni. lo non amo il realismo magico di çerti scrittori latinoamericani. È già abbastanza dif­ficile indurre il lettore a credere alla storia che gli racconti; e se non è almeno vagamente plau­sibile, diventa un'impresa as­surda.
E. COEN Dunque, quel tipo di impulso non ti appartiene.
McCARTHY Direi di no. Pen­so che andrebbe nella direzio­ne sbagliata. Nel cinema puoi fare le cose più stravaganti o scandalose, perché coi film non si discute: stanno lì e basta. Ma a dire il vero non lo so. Sono tan­te, sapete, le cose che si vorrebbero fare. D'altra parte, il futuro si va accorciando, e quindi c'è bisogno.
J. COEN Di priorità?
McCARTHY Sì, in qualche misura. Un mio amico che ha ­alcuni anni più di me una volta mi ha detto: «Ormai non com­pro neanche più le banane ver­di» (ride). lo non sono ancora a quel punto, ma ho capito benis­simo cosa voleva dire.
Fonte: Lev Grossman su La Repubblica di oggi (pagg. 52-53), traduzione di Elisabetta Horvat.
Copyright Time Inc. e La Repubblica

2 commenti

Anonimo ha detto...

Ottimo. Tanto l'iniziativa, quanto il tempismo. Avevo letto anch'io quel dialogo e l'ho trovato molto interessante, nonché utile per capire meglio questo (straordinario) film.
Sono appunto reduce dalla visione e sono ancora "stordito" da tanta perfezione.
Volevo chiederti se mi autorizzi a citare (e linkare) questo tuo post nella recensione che scriverò domani.

Anonimo ha detto...

Post linkato, grazie mille!