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Milano calibro 9 di Fernando Di Leo

Finire quello che si era cominciato tempo prima, oppure ricominciare daccapo. Non si capisce bene quale delle due opzioni abbia scelto Ugo Piazza, forse come accade di solito, la verità sta a metà strada.

Tra i tanti personaggi inventati dal poliziottesco all'italiana, quello di Ugo Piazza (Gastone Moschin) è uno dei più insoliti e originali. È un delinquente atipico in quanto non violento se non per necessità, ha un codice morale, sembra un fesso ma forse non lo è. Appena uscito di galera viene avvicinato dai suoi ex soci che pretendono da lui, per conto del boss soprannominato L'americano (Lionel Stander), i 300.000 dollari spariti dopo un lavoro fatto anni prima. Piazza dovrà faticare per convincerli del contrario, per perseguire i suoi scopi, per andare incontro ad un destino prevedibile e per questo ancora più tragico, perché scopo e destino non vanno mai nella stessa direzione. Sarà combattuto tra l'amicizia con Chino (Philippe Leroy) e Don Vincenzo (Ivo Garrani) e l'essersi venduto ai loro nemici, la gang dell'Americano. Ma fa parte del suo piano, questo è il suo gioco e nel gioco bisogna prima o poi rischiare qualcosa. Riallaccia la relazione con la spogliarellista Nelly (Barbara Bouchet) che pare essergli rimasta fedele in tutti questi anni. Sarà pedinato dalla polizia comandata da un commissario (Frank Wolff) dai modi spiccioli vecchio stile, che è l'esatto opposto del suo nuovo vice (Luigi Pistilli) dalle idee antiviolente e di sinistra*. Ma la cosa più difficile, per arrivare al suo scopo, rimane quella di guadagnarsi la fiducia dell'Americano e dei suoi scagnozzi capitanati da Rocco (Mario Adorf). Proprio con Rocco il rapporto si evolve: da un odio iniziale reciproco, si arriva al rispetto, ma ne deve costruire di strade tortuose per arrivare anche a quella (inaspettata?) evoluzione. Resterà perennemente tra due fuochi, solitario nelle sue manovre eppure pronto a prenderci le botte per aver disubbidito all'ordine di uccidere gli amici Chino e Don Vincenzo.

Ispirato ai racconti di Giorgio Scerbanenco, Milano calibro 9, primo film di una trilogia di Fernando Di Leo, lascia un amaro in bocca difficile da togliere perché ci rende consapevoli che non sempre si ha il potere di cambiare le cose: chi nasce ladro non può morire pulito.

-Nel film ci sono due particolari che possiamo ritrovare ne Il grande Lebowski: l'idea che i famigerati 300.000 dollari in realtà non ci siano mai stati, una vera trappola dell''Americano che voleva così sbarazzarsi di Piazza. E la scena ambientata nel bowling. Sono solo coincidenze?
-I battibecchi politici tra Frank Wolff e Luigi Pistilli dovevano essere tagliati nel montaggio finale, perché distoglievano l'attenzione dalla storia principale, ma l'ottima prova dei due attori convinse Di Leo ad inserirli ugualmente.

1 commento

Christian ha detto...

Che grande film...!

"Tu uno come Ugo Piazza non lo devi neanche nominare!"