Arte e dittature
Nella sontuosa e decadente villa dove i quattro signori (rappresentanti il potere nobiliare, ecclesiastico, giudiziario ed economico) esercitano la loro tirannia, lontani da tutto e da tutti, dai repubblichini come dalle SS, c’è una figura messa un po’ in disparte eppure essenziale per il loro scopo. Il Duca, il Monsignore, Sua Eccellenza il Presidente della Corte d’Appello e il Presidente Durcet si sono presi la libertà di rapire ragazzi e ragazze, colpevoli solo di essere figli di partigiani o di essere partigiani loro stessi, per umiliarli e torturarli in mille modi, per privarli della loro libertà e della loro dignità . Chi si ribella ai trattamenti viene ucciso: è la vita stessa a non appartenere più a questi giovani, divenuti a tutti gli effetti di proprietà dei quattro. Insieme ai Signori ci sono anche tre megere ex prostitute e una pianista, è questo il personaggio in secondo piano, costretta per tutto il tempo ad accompagnare musicalmente le varie torture psico-fisiche a cui sono sottoposti i prigionieri. Quando inizierà il Girone del sangue, la pianista (Sonia Saviange nella foto) di fronte all’orrore sempre più smisurato, si toglie la vita buttandosi da una finestra. L’arte divenuta strumento complementare di un simile orrore non può che negarsi, terminare, suicidarsi.
Dopo molti anni in cui è successo di tutto in quanto a trasformazioni/risorgimenti sociali e politici, la politica stessa ha imparato come mascherare le sue dittature in qualcos’altro, come non commettere più gli stessi errori.
Cetto Laqualunque, esempio perfetto di un certo modo di fare politica, ha trovato un compromesso con l’arte. L’arte, la cultura, rappresentata quest'ultima volta da vari cantanti lirici, si è venduta, non si fa scrupoli a cantare il famoso tormentone –‘Nt u culo- sotto lo sguardo soddisfatto del politico.
Il barlume di speranza che il film di Pier Paolo Pasolini, l'ultimo, Salò o le centoventi giornate di Sodoma lascia nel finale, in cui due giovani collaborazionisti, tediati e saturi dal troppo orrore, in un attimo in cui non sono sorvegliati si abbandonano a un ritorno all’innocenza perduta, è assente negli sketch con Cetto Laqualunque di Antonio Albanese. Che i tempi nel frattempo, almeno secondo il comico, e proprio a causa del loro falso aspetto democratico, siano in realtà peggiorati?
Dopo molti anni in cui è successo di tutto in quanto a trasformazioni/risorgimenti sociali e politici, la politica stessa ha imparato come mascherare le sue dittature in qualcos’altro, come non commettere più gli stessi errori.
Cetto Laqualunque, esempio perfetto di un certo modo di fare politica, ha trovato un compromesso con l’arte. L’arte, la cultura, rappresentata quest'ultima volta da vari cantanti lirici, si è venduta, non si fa scrupoli a cantare il famoso tormentone –‘Nt u culo- sotto lo sguardo soddisfatto del politico.
Il barlume di speranza che il film di Pier Paolo Pasolini, l'ultimo, Salò o le centoventi giornate di Sodoma lascia nel finale, in cui due giovani collaborazionisti, tediati e saturi dal troppo orrore, in un attimo in cui non sono sorvegliati si abbandonano a un ritorno all’innocenza perduta, è assente negli sketch con Cetto Laqualunque di Antonio Albanese. Che i tempi nel frattempo, almeno secondo il comico, e proprio a causa del loro falso aspetto democratico, siano in realtà peggiorati?
1 commento
Uno dei miei film preferiti. Sarà che apprezzo Pasolini in qualsiasi sua veste (poeta, regista, semiologo), ma i suoi film raramente mi deludono.
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