Inland Empire di David Lynch
Ogni film di David Lynch ha diviso, divide e dividerà sempre il pubblico in due. Da un lato ci sono gli impreparati, quelli cioè che vanno al cinema a vedere quello che capita perché non hanno di meglio da fare. Non sanno niente del regista o del film ma entrano nella sala ugualmente. Dall’altro ci sono gli appassionati, i fans del regista. Loro sanno già a cosa andranno in contro, sanno benissimo che usciranno dalla sala per ultimi. Sono perfettamente coscienti che le domande senza risposta alla fine della proiezione saranno tantissime, sanno che è nelle intenzioni dell’autore. È logico che non tutti gli spettatori a scatola chiusa se ne andranno prima della fine ma per i più sarà proprio così. Entrambi però ricorderanno il nome di David Lynch, o per evitarlo d’ora in avanti o per approfondire la scoperta. Anche in INLAND EMPIRE Lynch non si smentisce, non scende a compromessi, ti martella il cervello per quasi tre ore con allusioni, rimandi, pensieri, ricordi, fantasie, non sense, disturbi vari e molto altro ancora che neanche cento visioni aiuterebbero a spiegare. Ancora una volta (era già accaduto con Mulholland drive) è il mondo del cinema ad essere preso in esame insieme ad un'altra miriade di cose, ancora una volta c’è una persona con una non meglio identificata crisi d’identità. Fedele al suo stile surrealista ogni lettura del film (e delle singole scene) è buona e sbagliata allo stesso tempo. Proprio come nel surrealismo dovrebbe essere l’autore stesso ad intervenire nel “dibattito” per decifrare e chiarire i punti polisemantici. Il problema è che David Lynch non ama molto parlare dei suoi lavori. Forse perché, proprio come noi, non saprebbe da dove iniziare per spiegare quello a cui abbiamo assistito. Sono troppe le correnti artistiche che lo hanno influenzato e che influenza con i suoi film. Troppi sono i generi e sottogeneri cinematografici che affiorano qua e là. L’amalgama finale è come al solito ammirevole. Ogni dettaglio è curatissimo, la fotografia come al solito a dir poco perfetta (Lynch compare nei titoli di coda tra gli operatori di ripresa), le musiche del fido Angelo Badalamenti come sempre cupe al punto giusto, senza esagerare, attori bravissimi Laura Dern (già con Lynch in Velluto blu e Cuore selvaggio) più di tutti. Lo stile di Lynch per tutti questi motivi e per molti altri ancora, che vi invito a segnalare, è qualcosa di non fotocopiabile. Tarantino che è bravissimo a rifare i film di gangster come quelli di kung fu farebbe un buco nell’acqua se provasse a fare un film alla Lynch. E conoscendo la furbizia dell’ex enfant terrible siamo sicuri che non gli passerà mai neanche per l’anticamera del cervello. È inutile quindi dire che il film va assolutamente visto.
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